Rivoluzione industriale
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La rivoluzione industriale è il processo di industrializzazione vissuto dall'Inghilterra alla fine del XVIII secolo, processo in seguito diffusosi ad altri Stati occidentali fino a coinvolgere ampie parti del mondo. Il termine industria è antichissimo ma è solo alla fine del Settecento che acquista l'accezione di "settore manifatturiero". Il termine rivoluzione industriale, usato molto probabilmente per la prima volta già negli anni venti del XIX secolo, modellato ed in analogia con il termine Rivoluzione francese (tesi sostenuta da Raymond Williams), è stato sicuramente citato, secondo lo storico Fernand Braudel, nel 1837 dall'economista francese Adolphe Blanqui, fratello del celebre rivoluzionario Auguste Blanqui. Il termine rivoluzione industriale fu però definitivamente consacrato solo nel 1884 da Arnold Toynbee con la pubblicazione delle sue Conferenze sulla rivoluzione industriale in Inghilterra. Utilizzarono in precedenza questo termine Karl Marx ne Il Capitale (1867), John Stuart Mill nei suoi Principi (1848) e Friedrich Engels ne La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845).
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Definizione
Per rivoluzione industriale si intende un processo di trasformazione economica che da un sistema agricolo-artigianale-commerciale porta ad un sistema industriale moderno caratterizzato dall'uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica, dall'utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate (come ad esempio i combustibili fossili) e dalla diffusione della fabbrica come principale luogo di produzione nel quale si concentrano i mezzi di produzione (forza lavoro e capitale). Ne consegue un notevole incremento, quantitativo e qualitativo, delle capacità produttive di un Paese.
Spesso si distingue fra prima e seconda rivoluzione industriale. La prima riguarda il settore tessile-metallurgico e comporta l'introduzione della macchina a vapore, mentre la seconda rivoluzione industriale avviene con l'introduzione dell'elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. L'introduzione e l'ampia diffusione dell'informatica da avvio alla Terza Rivoluzione Industriale, legata questa volta al settore dei servizi. La rivoluzione industriale comporta una profonda ed irreversibile trasformazione che parte dal sistema produttivo fino a coinvolgere il sistema economico nel suo insieme e l'intero sistema sociale. L'apparizione delle fabbrica e della macchina modifica i rapporti fra gli attori produttivi. Nasce così la classe operaia che riceve, in cambio del proprio lavoro e del tempo messo a disposizione per il lavoro in fabbrica, un salario. Sorge anche il capitalista industriale, imprenditore proprietario della fabbrica e dei mezzi di produzione, che mira ad incrementare il profitto della propria attività.
Delimitazione temporale e diffusione
In
Inghilterra, primo paese nel quale si assiste alla rivoluzione
industriale, questo processo ha avuto luogo nella sua prima fase e
secondo la delimitazione di
Thomas S. Ashton (1948),
fra il 1760
– anno d'inizio del regno di
Giorgio III – e il
1830 – anno
d'inizio del regno di
Guglielmo IV. Questa prima
rivoluzione industriale prende avvio nel settore tessile (cotone),
metallurgico (ferro) ed estrattivo (carbon fossile). Il periodo
vittoriano (1831-1901),
nel quale avviene la seconda rivoluzione industriale (1850 ca.), sarà
per l'Inghilterra quello dello sviluppo e dell'apogeo della propria
economia, archetipo del sistema capitalista-industrializzato.
La rivoluzione industriale si è poi estesa ad altri Stati, in
particolare:
Francia,
Germania,
Stati Uniti e
Giappone fino a coinvolgere l'intero Occidente e, nel
XX
secolo, parte di altre regioni del mondo, prime fra tutte l'Asia.
Ogni paese ha seguito un proprio percorso verso la propria rivoluzione
industriale e la stessa si è realizzata in modo differenziato. Così se
in Inghilterra il processo prese avvio nel settore tessile, in altri
paesi la rivoluzione industriale fu letteralmente trainata
dall'introduzione della locomotiva a vapore. Anche il ruolo dello Stato
varia da paese a paese: se in Inghilterra la rivoluzione industriale è
sorta spontaneamente ed è stata alimentata dall'iniziativa privata (pur
sostenuta e favorita da atti legislativi emanati dal Parlamento, come
quelli relativi alle recinzioni e alle strade), in altri paesi lo Stato
ha dato contributi maggiori e spesso determinanti.
Il termine rivoluzione, inizialmente indicante un moto
circolare che torna su sé stesso, ha in seguito definito una rottura, un
capovolgimento. Con il termine rivoluzione industriale si fa
implicitamente riferimento a questo secondo senso. Il sistema produttivo
che risulta dalla rivoluzione industriale è radicalmente differente
rispetto al sistema precedente di tipo agricolo-manufatturiero.
Alcuni storici, minimizzano l'importanza degli avvenimenti identificati
alla rivoluzione industriale sostenendo che le trasformazioni
strutturali delle economie europee ebbero inizio già nel secolo
precedente. Più che di una rottura si tratterebbe solo, per questi
autori, di un'accelerazione di un processo già in corso.
Altri storici, come Jean Gimpel sostengono persino l'esistenza di rivoluzioni industriali precedenti a quella sorta in Inghilterra alla fine del XVIII secolo. Nell'epoca feudale si sarebbero così realizzate rivoluzioni sostanziali delle tecniche agricole e industriali, basti pensare al ruolo dei mulini. John Nef sostiene l'esistenza di una rivoluzione industriale in Inghilterra già a partire dalla fine del XVI secolo e l'inizio del XVII secolo. La rivoluzione industriale si pone così fra rottura e/o continuità.
I tre settori di Colin Clark
L'economista Colin Clark ha elaborato la legge dei tre settori (o di Colin Clark), che mette in relazione lo sviluppo di una economia con la trasformazione della stessa: in un primo momento, corrispondente alla Rivoluzione industriale, si assiste alla diminuzione del peso nell'economia del settore agricolo e all'aumento del ruolo svolto dal settore industriale, che diventa il più importante per quota di prodotto e occupati; in una seconda fase si assiste al sorpasso del settore industriale da parte del terziario (detto così perché non rientra né nel primo settore, quello agricolo, né nel secondo, quello industriale). Il terziario è attualmente è considerato il settore più importante dell'economia, e raggruppa nel suo insieme il turismo, le consulenze (in tutti i campi a partire da quello bancario, i mass-media...).
Origini
Così come accade in molti processi storici, per la rivoluzione industriale non esiste una data di inizio certa, anche se l'invenzione cardine è quella del motore a vapore. Ogni mutamento profondo dell'economia è però influenzato dalle trasformazioni precedenti, e così la Rivoluzione industriale viene considerata da alcuni studiosi come l'ultimo momento di una serie di cambiamenti che hanno trasformato l'Europa da terra povera, sottosviluppata e poco popolata all'inizio del Medioevo, nella zona più ricca e sviluppata del mondo nel corso dell'Ottocento. L'accumulo di capitale incamerato in seguito ai commerci e la disponibilità di ingenti quantità di acciaio e carbone nei paesi del Nord, facilmente trasportabili attraverso una fitta rete di canali navigabili, resero possibili gli investimenti necessari alla creazione delle prime fabbriche o opifici.
Da un punto di vista economico, l'elemento che caratterizza la Rivoluzione industriale è il salto di qualità nella capacità di produrre beni, cui si assiste in Gran Bretagna, a partire dalla seconda metà del Settecento. Più precisamente la crescita dell'economia inglese nel periodo 1760-1830 è la più alta registrata fino a quel momento. In altri paesi il processo di industrializzazione è analogamente origine, in epoche successive, di elevati tassi di crescita dell'economia.
Dal punto di vista tecnologico la Rivoluzione industriale si caratterizza, come già detto, per l'introduzione della macchina a vapore. Nella storia dell'umanità il maggior vincolo alla crescita della produzione di beni è infatti quello energetico. Per molti secoli l'umanità si trova a disporre soltanto dell'energia meccanica offerta dal lavoro di uomini e animali, trovando in tale offerta vincoli invalicabili per la modesta capacità di controllare la popolazione umana e animale.
La progressiva introduzione, a partire dal Medioevo, del mulino ad acqua e del mulino a vento rappresenta la prima innovazione di rilievo e consente, specie in Inghilterra, di dare vita a lavorazioni manifatturiere soprattutto a domicilio e in particolare nel settore tessile.
L'energia abbondante offerta dalla macchina a vapore viene applicata alle lavorazioni tessili, rendendo possibile una più efficiente organizzazione della produzione grazie alla divisione del lavoro e allo spostamento delle lavorazioni all'interno di fabbriche appositamente costruite, nonché alle estrazioni minerarie e ai trasporti.
Le attività minerarie beneficiano della forza della macchina a vapore nella fase di estrazione dell'acqua dalle miniere, permettendo di scavare a maggiore profondità, come anche nel trasporto del minerale estratto. I primi vagoni su rotaia servono a portar fuori dalle miniere il minerale, poi a portarlo a destinazione. Solo in un secondo tempo il trasporto su rotaia si converte nel trasporto di passeggeri.
La rivoluzione industriale ha prodotto effetti non solo in campo economico e tecnologico, ma anche un aumento dei consumi e della quota del reddito destinato al risparmio, dei rapporti di classe, della cultura, della politica, delle condizioni generali di vita, con effetti espansivi sul livello demografico.
Perché l'Inghilterra
Una delle ragioni per le quali l'Inghilterra fu la nazione dove l'industria ebbe origine fu la superiorità dei suoi tecnici nel corso del XVIII secolo: una superiorità tale che persino dopo l'invenzione e l'adozione delle prime macchine per filare e per tessere, occorsero parecchi decenni perché all'estero sì imparasse a ricostruirle: spesso le copie furono realizzate mediante il contributo di tecnici inglesi.
Tale primato tecnologico derivò in parte dalla tradizione empiristica inaugurata da Francesco Bacone (1561-1626), che aveva intuito la stretta connessione fra teoria e prassi, ossia fra il progresso delle conoscenze e il dominio dell'uomo sulle forze della natura, inoltre la mobilità della società inglese, caratterizzata da un ricambio delle classi più vivace che altrove, permetteva un più ricco flusso di ingegni creativi verso la produzione e il precoce smantellamento dei regolamenti corporativi medievali, già in gran parte eliminati alla fine del XVII secolo. L'eliminazione di molti privilegi, del protezionismo e l'eliminazione delle barriere doganali lasciava spazio all'introduzione di metodi e strumenti di lavoro assolutamente nuovi. Il disprezzo per le attività manuali, da riservare alle classi «inferiori», non faceva parte dei pregiudizi inglesi, cosicché gli appartenenti alle classi medie, dalle quali, di fatto, provennero per lo più gli inventori, non si vergognavano di dedicarsi ai problemi della tecnica. Infine, i tecnici inglesi conoscevano bene la matematica e la fisica, divulgate da periodici e da enciclopedie popolari e in corsi serali promossi da associazioni private.
Altro fattore importante fu l'agricoltura; infatti l'Inghilterra fu la prima ad avere una agricoltura di mercato (non per auto-consumo ma per profitto) che, unita all'innovazione tecnologica, eliminò molta manodopera dalle campagne facendola rifluire verso la città dove troverà occupazione nella nascente industria. Ma fenomeno delle enclosures, per cui molta terra demaniale lasciata al libero pascolo venne privatizzata e recintata, privò i contadini più poveri del libero diritto di pastorizia e li spinse a trovare nuovo impiego nelle fabbriche. La disponibilità di ingente di manodopera a basso costo contribuì in maniera fondamentale al decollo industriale del paese.
Anche il quadro politico era in Inghilterra ben più favorevole che altrove alla nascita e allo sviluppo dell'industria, perché, con le rivoluzioni del '600 (e la successiva instaurazione della monarchia parlamentare), la borghesia aveva conseguito la possibilità di determinare le scelte del governo e ciò aveva permesso una rapida trasformazione capitalistica dell'agricoltura. Inoltre l'Inghilterra si trova in una posizione geografica favorevole ai commerci atlantici, mentre la sua insularità le consentì una facile difesa dei propri confini.
Altro importante fattore è la rivoluzione agricola sviluppatasi nel corso del Settecento, che con sistemi di avanguardia come la rotazione programmata delle colture agevolò lo sviluppo industriale e demografico.
Dinamica economica
Per spiegare come si sia passati da un sistema manifatturiero di tipo artigianale a uno di tipo industriale occorre considerare che la domanda di beni è aumentata in Inghilterra nel periodo che precede la rivoluzione industriale. Questo si deve sia alla crescita demografica sia al livello del reddito pro capite e dei salari, più elevato di molti paesi europei, sia alla domanda di beni inglesi proveniente dagli immensi territori, da cui proveniva, per esempio, il cotone grezzo della Virginia, che lavorato veniva rivenduto ovunque, inclusi i territori coloniali. Il monopolio del commercio del Thè imposto ai coloni consentì alla corona di incamerare cifre ragguardevoli. Si trattava, in pratica, di una domanda di beni di largo consumo, destinati a soddisfare bisogni elementari di crescenti masse di persone in patria e all'estero.
La crescita della domanda favorì gli investimenti in impianti e macchinari, che per essere convenienti richiedono che la domanda di beni sia sostenuta. Tuttavia in settori come il tessile, il passaggio graduale delle lavorazioni, inizialmente di tipo artigianale, in un sistema di fabbrica ha permesso di compiere investimenti in maniera graduale, via via che erano accumulati i capitali necessari. In altri settori lo sviluppo delle attività economiche ha reso conveniente la realizzazione di investimenti per servizi sempre più richiesti. È il caso dei canali navigabili e delle ferrovie, la cui costruzione si deve in buona parte all'iniziativa dei privati, indotti a investire in settori nuovi per soddisfare la domanda crescente dei corrispondenti servizi.
Innovazione tecnologica
Le innovazioni tecniche procedettero dalle macchine utensili alle macchine motrici, dalle industrie tessili all'industria pesante, metallurgica e meccanica che divenne determinante nell'Ottocento (dalla fine della prima metà) in concomitanza con lo sviluppo delle ferrovie. La produzione di tessuti mediante il sistema domestico subiva un rallentamento nella fase della filatura, poiché occorrevano cinque filatrici (persone) per alimentare un solo telaio a mano. Lo squilibrio si accentuò intorno alla metà del '700, quando i tempi della tessitura furono ridotti dalla diffusione della navetta volante (brevettata nel 1733 da John Kay). Nella seconda metà del secolo Hargreaves e Arkwright inventarono rispettivamente la giannetta filatrice e il filatoio idraulico: la prima accelerava la filatura da 6 a 24 volte, il secondo addirittura di alcune centinaia di volte, ciò rese obsoleti i telai a mano. Nel 1787 Cartwright inventò il telaio meccanico, che fu perfezionato e adottato nei decenni successivi: intorno al 1825 un solo operaio, sorvegliando due telai meccanici, poteva sbrigare un lavoro che con i telai a mano avrebbe richiesto l'opera di una quindicina di persone. L'aumento della produzione di tessuti stimolò lo sviluppo dell'industria chimica, per rendere competitive le fasi di candeggiatura, tinteggiatura e stampa. Ben presto l'industria chimica divenne fondamentale per tutti i rami della produzione, sia industriale, sia agricola.
Per approfondire, vedi la voce Storia dell'industria chimica. |
Lo sviluppo industriale richiese quantità sempre maggiori di energia, ben superiori a quelle fornite dalla mano dall'uomo. La ricerca mirò quindi alla realizzazione di motori adeguati. James Watt (1736-1819) modificò la macchina a vapore, ottenendo un rendimento ben quattro volte superiore a quello delle precedenti vaporiere (1787), poi progressivamente in altri rami della produzione, nell'Ottocento si affermò definitivamente nei trasporti terrestri e marittimi. La macchina a vapore sostituì le tradizionali fonti di energia che presentavano il gravissimo inconveniente o di non essere disponibili nelle quantità e nei tempi e luoghi richiesti (mulini ad acqua e a vento), o di non essere instancabili e adeguate alle nuove macchine utensili (energia muscolare dell'uomo e degli animali). Inoltre i giacimenti di carbone sono abbondantissimi in Inghilterra e, soprattutto, la macchina a vapore consentiva di produrre energia di una intensità e di una concentrazione senza precedenti. Con l'adozione del vapore la richiesta di ferro e di leghe adeguate subì un rapido incremento.
All'inizio del '700 un progresso decisivo nel campo della siderurgia, ancora nella sua fase preindustriale, era stato conseguito da Abraham Darby, che per la lavorazione dei minerali ferrosi aveva iniziato ad usare, anziché il carbone di legna, il coke, ossia l'antracite distillata a secco per eliminarne le sostanze che avrebbero inquinato i processi di fusione. Senza tale innovazione, la siderurgia avrebbe presto incontrato «i limiti dello sviluppo», perché l'uso tradizionale del carbone di legna avrebbe in breve tempo comportato la distruzione delle foreste. Poiché la combustione del coke negli altiforni doveva essere ravvivata da correnti d'aria assai più intense di quelle ottenibili dai vecchi mantici azionati dai mulini fu necessario utilizzare a questo scopo proprio la macchina a vapore, che quindi trovò la sua prima applicazione in una fonderia. Nel 1783-1784 Henry Cort introdusse nella siderurgia la laminazione e il puddellaggio. Quest'ultimo consisteva nella purificazione dei minerali ferrosi mediante rimescolamento ad altissime temperature in presenza di sostanze ossidanti. La laminazione purificava ulteriormente il ferro e lo sagomava secondo le forme richieste, facendolo passare a forza attraverso i rulli di un laminatoio, che sostituiva il vecchio metodo di percussione sotto maglio e accorciava i tempi di ben quindici volte. Per ottenere barre, rotaie o travi bastava modificare la forma dei rulli.
Processi analoghi a quelli svoltisi in Inghilterra fra il '700 e '800 si riprodussero in tutti i paesi nei quali la rivoluzione industriale si affermò. Però, mentre in Inghilterra la rivoluzione industriale era stata il risultato di iniziative private non inquadrate in alcun piano o programma, altrove l'intervento statale ebbe una parte più o meno grande.
Impatto sociale dell'industrializzazione
La meccanizzazione dell'agricoltura ed il ricorso ai concimi chimici migliorarono la produzione. La maggiore disponibilità di prodotti alimentari, la loro migliore qualità ed i progressi della medicina ebbero come conseguenza un calo della mortalità, ma nei paesi industrializzati a fronte di un incremento demografico si riscontrava una minor richiesta di braccianti agricoli, quindi dalle campagne ci fu un forte flusso di manodopera non qualificata verso le città.
Sotto la spinta dell'industrializzazione le città si ingrandirono, sorsero quartieri residenziali per accogliere la nuova borghesia imprenditoriale, ma anche enormi e squallidi quartieri operai, dove una popolazione poverissima si accalcava in case dette in Inghilterra "slums", unità abitative mal costruite e malsane, in condizioni igieniche precarie e con un alto rischio di degrado morale. Gli operai svolgevano il loro lavoro in ambienti spesso pericolosi e insalubri, a causa di una tecnologia ancora rudimentale, non avevano assicurazioni che ne tutelassero l'incolumità o pensioni al momento del ritiro dall'attività lavorativa, potevano essere licenziati in qualsiasi momento non avevano diritto all'associazione ed i loro salari erano bassissimi, a causa dell'abbondanza di manodopera. Inoltre la semplicità e la ripetitività di alcune operazioni consentiva lo sfruttamento di manodopera minorile.
I ragazzi e le donne erano preferiti per certe mansioni, in quanto la loro retribuzione era decisamente inferiore a quella di un operaio (questa categoria era ritenuta meno incline alla ribellione). Il loro salario, che in campagna sarebbe bastato a mantenere dignitosamente una famiglia, poiché l'attività agricola avrebbe supplito a molte spese, in città, dove tutto andava acquistato, era quasi sempre insufficiente. L'impiego di macchine sempre più complesse fece con il tempo aumentare la richiesta di operai specializzati causando progressivamente un aumento della disoccupazione tra la manodopera generica e ricorrenti crisi della produzione fecero aumentare i disoccupati.
Parallelamente al proletariato si formò una classe impiegatizia piccolo borghese, con un tenore di vita di poco superiore a quello degli operai, ma con velleità di promozione sociale. Per soddisfare le esigenze dei ceti medio-bassi con un limitato potere d'acquisto, nelle maggiori città furono aperti i primi grandi magazzini, dove la grande quantità di merci prodotta industrialmente poteva essere commercializzata vantaggiosamente a prezzi contenuti.
La rivoluzione industriale ebbe una notevole influenza anche sulla cultura del tempo sviluppando temi che furono accolti dal Naturalismo francese. I romanzieri si ispirarono per le vicende dei loro romanzi alla vita contemporanea, studiando l'uomo in rapporto alla società, privilegiando nella scelta dei temi i ceti sociali più umili senza rifiutare alcun aspetto, anche se deteriore, della società rappresentata. In una concezione pragmatica dell'arte, tali scrittori si illusero con le loro opere di studiare ed evidenziare i problemi della società in modo che fosse possibile porvi rimedio favorendo l'emencipazione sociale delle plebi urbane. I naturalisti descrissero la società delle fabbriche, il proletariato i ceti borghesi, i piccoli proprietari agricoli di una nazione che aveva realizzato ormai da molti secoli la propria identità nazionale e che quindi offriva, per i diversi ambiti sociali , un quadro omogeneo e di vasto respiro. Al naturalismo francese si collegò il verismo italiano, il quale, di fronte ad una unità nazionale recentissima, e ad una realtà sociale altamente differenziata (nord Italia relativamente industrializzato, meridione più arretrato e legato alla vecchia economia latifondista) sfociò in un accentuato regionalismo e nella concezione pessimistica del progresso tipici di scrittori come Verga. Nel verismo è assente la realtà industriale, in quanto il meridione si poggiava essenzialmente agricolo, sostituita dalla presenza di tanti personaggi di contadini oppressi e affamati dal monopolio della nobiltà rurale: Nedda, la ragazza protagonista della breve novella considerata uno dei massimi capolavori di Verga, è un personaggio simbolo del disagio del Sud.